Ho scoperto presto che non si può cambiare il mondo. Il meglio che si possa fare è imparare a convivere in equilibrio con esso. (Henry Miller)
Tutto e il contrario di tutto. Continuamente condannati e assolti alcuni degli alimenti più comuni, magari proprio quelli che ci piacciono tanto. È di moda il concetto che mangiare lo zucchero semplice sia cancerogeno o ancora peggio che la farina 00 sia il nuovo veleno alimentare quando invece il concetto chiave è la moderazione nell’utilizzo. Qui voglio citare un proverbio Hindu “Anche il nettare è veleno in caso di consumo eccessivo” per dire che soprattutto i professionisti dovrebbero rispettare il consumatore senza scatenare terrorismo mediatico nei confronti di un alimento definendolo addirittura “veleno”.
Periodicamente viene incoronato un cibo, un gruppo alimentare, una classe di nutrienti e prontamente viene tutto smentito da ricerche più recenti, creando confusione e alimentando conclusioni decontestualizzate e frettolose, il tutto rinforzato da una serie di incongruenze informative che spuntano come funghi sui giornali, in tv e nel web figlie di convinzioni infondate. Ma cosa dicono le ultime evidenze scientifiche a tal proposito?
Chi condanna un alimento specifico come causa di una malattia ha sicuramente da ricredersi, infatti se una stessa malattia in Europa mostra una relazione con dei particolari gruppi alimentari (es. frumento, lieviti e latte), in Cina può dipendere da soia, riso e mais.
Questo concetto pur essendo logico in quanto correla con le abitudini alimentari di una popolazione, ancora oggi va contro una convinzione medica che identificato un possibile colpevole lo condanna invece che ragionare sul significato evoluzionistico.
Si è portati ancora a credere che la totale eliminazione di un alimento o di più gruppi alimentari in seguito ad un disturbo sia la cosa più giusta da fare, senza rendersi conto che togliendo ad esempio il glutine ad una persona (eccezion fatta per la celiachia diagnosticata) e facendogli mangiare in sostituzione della pasta il riso, molto probabilmente favorirà lo sviluppo di una nuova reattività verso il riso, magari con gli stessi sintomi di prima. Ricordiamo che può essere pericoloso seguire una dieta senza glutine senza una diagnosi certa di celiachia perché, qualora se ne soffrisse, celerebbe i veri sintomi predisponendo la persona alle complicanze della celiachia.
Recenti dati scientifici supportano questa ipotesi aiutandoci a capire che il problema non dipende dal singolo cibo ma dal modo in cui gli alimenti reagiscono nell’organismo. Va infatti tenuta in considerazione l’infiammazione provocata dall’eccesso di un alimento all’interno della dieta individuale e per questo chi mangia frequentemente gli stessi alimenti troverà che la causa dell’infiammazione da cibo dipenderà proprio da quegli alimenti assunti in eccesso.
In pratica il confronto tra i lavori europei e quelli cinesi confermano l’ipotesi che siano le dosi di utilizzazione alimentare a rendere gli alimenti temporaneamente infiammatori. Il percorso che viene intrapreso nella maggioranza dei casi è quello di eliminare l’alimento imputato. Se in un primo momento questo approccio viene confermato dalla regressione dei sintomi, questo non avviene nel medio e lungo termine in quanto, se protratte nel tempo, le diete di eliminazione aumentando il rischio di reazioni in caso di reintroduzione incidentale inviando all’organismo segnali di pericolo.
Ecco perché è fondamentale impostare l’approccio delle diete di rotazione che mira al controllo dell’infiammazione ed al recupero della tolleranza alimentare e immunologica nei confronti di quell’alimento ricoltivando un rapporto di sana amicizia con il cibo.
Questi studi potrebbero portare quindi ad un nuovo modo di interpretare la lettura degli anticorpi IgG alimentari considerandoli anticorpi di riconoscimento che si innalzano quando nel singolo individuo l’introduzione di un certo alimento supera la dose di tolleranza individuale.
dott.ssa Sujem Benedetto
Biologa nutrizionista